L’Inter di Inzaghi non c’è più. È scomparsa nella serata più importante e nel modo più umiliante e doloroso, non presentandosi all’appello della partita a cui i giocatori e l’allenatore hanno immolato il resto della stagione. Dura lectio, sed lectio (non è un typo).

Sono uscito dall’Allianz Arena di Monaco di Baviera neanche incazzato, quanto sconcertato e incredulo: non ho capito come sia stato possibile sacrificare un anno di lavoro, avere il chiodo fisso da settembre di questa serata memorabile e poi non entrare neanche in campo, esponendosi alla più crudele delle lezioni di vita.

In 90 minuti l’Inter inzaghiana ha esibito l’intero repertorio dei limiti che abbiamo evidenziato per un anno prendendoci insulti e manco tanto velate accuse di intertristismo: in un anno non sei riuscito a sistemare la fase difensiva e a trovare la quadra per quei momenti in cui serve il pullman davanti alla porta, non hai trovato modo di cucire meglio i reparti, non hai trovato soluzioni offensive che fossero diverse dalle palle inattive, dai terzini o da un momento di forma sporadico dei tuoi attaccanti titolari; e soprattutto non hai mai dato la sensazione di poter dominare una partita in cui la posta è alta, denotando una carenza di mentalità e forza che doveva essere valutata.

Hai passato l’anno a parlare davanti ai microfoni e a studiare acconciature e outfit, senza mai far seguire prestazioni all’altezza, e vanificando ogni singolo obiettivo possibile. Fino all’impresentabile serata di Monaco in cui riuscirai a passare alla storia per il peggior risultato di sempre in una finale europea nonché per il maggior mismatch visto in campo tra le due finaliste: un epilogo che questa squadra, la nostra maglia e quanto fatto in questi anni non meritavano. Ma soprattutto non ce lo meritavamo noi che abbiamo invaso Monaco e che riempiamo stadi e cuori ogni settimana, tutto l’anno. Ma sulla coscienza ce lo avete voi sulla coscienza, non noi tifosi. E ne dovete pagare lo scotto.

L’Inter di Inzaghi è finita: è stato un ciclo bello anche con momenti di calcio affascinante, ma incapace di evolvere agganciato a un mister e a un’ossatura nei calciatori che ha deciso di vivere o morire in un solo modo, sempre quello. In 4 anni hai conteso 3 campionati, ma ne hai vinto uno solo; hai fatto due finali (contro due squadre più forti d’accordo), ma le hai perse entrambe. Troppo poco (o troppo male). E se guardiamo i protagonisti principali di questa squadra le finali perse salgono a tre su tre. Non è pensabile non tenerne conto e rifondare (magari non in una sola tornata, ma senza esitazione).

Poco conta che anche la dirigenza e la proprietà abbiano le loro responsabilità: aver sbagliato completamente le riserve quasi titolari che servivano quest’anno in mezzo e davanti (Zielinski e Taremi sono due cessi ambulanti), per non parlare di quella dietro presa l’anno scorso (Pavard tra mezzo servizio stasera e servizio completo con l’Atleti ci è costato veramente tantissimo sportivamente parlando). Polifemo rimetta il titolo di presidente e torni a fare quello che sapeva fare bene prima; Ausilio se sbaglia anche solo un acquisto dei suoi forse Oaktree ce lo fa trovare finalmente alla mensa di San Francesco; ma soprattutto bisogna inventarsi una nuova Inter e un nuovo modo di costruirla: se non ci sono i soldi servono competenze e tempismo, intelligenza, furbizia e anche un attimo di stronzaggine acuta. Saremo capaci di averla? Nel frattempo bisogna capire come operare il cambiamento, perché ovviamente non si potrà fare in un anno e dovremo accettare delle annate alla ricerca del quarto posto per dare continuità a tutto il resto.

Intanto una storia bellissima si chiude e sarebbe stato bello chiuderla in maniera romantica ed eroica, non tragica e mesta. Ma ognuno ha il suo ruolo e le sue carte da giocare. Io sugli spalti ci sono andato come sempre, all’Inter ho dato tutto quello che avevo, non penso che chi è andato in campo potrà mai dire lo stesso dopo stasera. Sempre e solo, Forza Inter!