Riprendiamo il filo del discorso in una amichevole estiva che non è amichevole né economicamente né formalmente. Con 13 panchine in serie A e 5 giorni in panchina all’Inter ovviamente la squadra e il gioco è lo stesso di questo anno inzaghiano, con alcune variazioni obbligate: in cabina di regia l’irritante moviola Asllani, a destra Darmian con la bombola ad ossigeno, davanti Seba Esposito a fianco di Lautaro.
Inaspettatamente giochiamo il pallone senza troppi timori, ma già dai primi minuti si capiscono alcune cose che dovranno indirizzare i prossimi mesi: Acerbi è bollito, mentalmente prima che fisicamente, ed è rimasto al minuto 92 di Inter-Barcellona; Sommer sta offrendo prestazioni più opache (per fortuna in realtà qui la soluzionoe c’è); davanti non tiriamo manco con le mani quindi comee già spesso visto quest’anno 70% di possesso palla e 0 tiri in porta; con Barella francobollato che cerca sempre la giocata più difficile, anche quando basterebbe meno e senza Calha, ma anche con Calha, serve un modo diverso di giocare in mezzo al campo, S.O.S. chiaro verso l’alto, chissà se verrà recepito.
E come già accaduto in tutta la stagione alla prima mezza occasione incassiamo il gol: in questo caso palla persa abbastanza casuale, corner, Acerbi ubriaco che si perde Sergio Ramos, Sommer alla moviola e gol nell’angolino.
Per fortuna non ci disuniamo e continuiamo imperterriti con il nostro schema (difetto ereditario al momento): dopo che Seba si mangia un gol a 3 metri dalla porta (suona familiare? Troppa sufficienza…) sfoderiamo lo schema su punizione che sul filo del fuorigioco vede scavetto, cross e tap-in ravvicinato del capitano. Pareggio meritato che potrebbe essere arrotondato visto che ci troviamo tra i piedi un paio di altri palloni interessanti. Altro classico vintage è quello che succede nella punizione dal limite che ci conquistiamo: in campo c’è un vero specialista di punizioni, Esposito, ma deve tirarla per nonnismo l’albanese al rallentatore, e infatti la spara dritto per dritto sulla barriera vanificando il tentativo. Ricominceremo con i capannelli e l’autogestione delle scelte sui piazzati? Deja-vu che avrei volentieri evitato.
Rientriamo nel secondo tempo e come prevedibile scendiamo di ritmo fisicamente, in particolare a centrocampo con Asllani che ci serve la specialità della casa numero 2 (palla persa con ripartenza avversaria e fallo inutile dato che non ferma la ripartenza), Barella sempre un po’ fumoso, Mkhitarian scomparso dal campo. Le occasioni le abbiamo, ma Lautaro pare morto mentre Esposito è sicuramente morto, infatti entra Tikus (che però è in vacanza, bene ma non benissimo). Dietro esce Pavard (mah), scala Darmian (ri-mah) ed entra Luis Enrique con le sue vibes a cavallo di Vampeta, Di Lorenzo e Dalbert. Per noi 2 occasioni (sprecate) e per i messicani un palo clamoroso su cui manca per un pelo il tap-in uno a caso del Monterrey. La partita comincia la sua fase a schiaffi e per fortuna Chivu caccia Asllani dal campo per mettere Sucic, ma contemporaneamente butta in campo Dimash che tutti ci chiediamo in che fase sarà (puff puff o pum pum?).
Passiamo al 3-4-1-2 (incredibile, ma quindi si può cambiare modulo, cioè è legale nel calcio?). Poi al 3-4-2-1 con Tikus unica punta e Zalewski insieme a Lautaro dietro (si sente chiaramente Chivu urlarlo dalla panchina in uno dei break). E subito dopo il cambio Lautaro si mangia il solito gol allucinante sul dischetto del rigore (specialità della casa, dato che ricordiamo che è il più forte attaccante quando deve fare dei gol difficili sul primo tocco ma uno dei meno forti sui gol facili quando devi pensare).
Inizia una fase francamente oratoriale della partita con palloni sparati a caso un po’ ovunque: Tikus continua a giocare con la stessa voglia che ho io di lavorare in fabbrica il 15 di agosto, Sucic troppo timido e Zalewski mi pare un po’ spaesato in un ruolo inedito. In sostanza la buttiamo in caciara, senza calcolare che di solito in caciara la vince chi ha più gamba e nella fattispecie il Monterrey che sfiora il vantaggio in un paio di occasioni.
Alla fine strappiamo il pareggio senza quasi tirare in porta ma senza prendere il fico al 96esimo che avevo già messo in conto. Considerato la batosta da cui arriviamo, il cambio di tecnico con un principiante, le aspettative tradite ci possiamo accontentare di non aver sbracato, ma fatta la tara sull’avversario e sulle potenzialità sicuramente serve molto di più per portare a casa 3 punti: intanto servirebbero delle punte che tirino in porta centrandola, ma servirebbe anche un centrocampo che fa scelte razionali e lucide (e che magari tira in porta cosa che pare vietata da anni all’Inter). Troppo fumo per così poco arrosto, ma sono comunque proteine.
Partita in nome della continuità tattica, come era ovvio. A Chivu tocca un compito arduo: convincere i giocatori a cambiare, per se stessi, ma soprattutto per l’Inter. La società dovrebbe aiutarlo più che per lui per il proprio futuro, per voltare pagina, ma per ora il nostro Presidente è tutto chiacchiere e distintivo, mentre il DS è il solito fantasmino accomodato su una sdraio con la hot-line fissa per i procuratori che gli dicono cosa fare (faticare mai, non scherziamo). Sarebbe meglio non chiedeste a me del futuro, perché dal mio punto di vista nel mio nomen, omen. Ma non amen, cazzo.